
Esistono persone, che per loro natura o per altri motivi, sono in grado di aiutare gli altri. Aiutare in che modo chiederete voi, beh in tanti modi diversi, alcuni dei modi più comuni sono, per esempio:
- aiutare qualcuno a capire la fonte dei propri problemi;
- aiutare qualcuno a trovare la via per la soluzione dei propri problemi;
- aiutare qualcuno a capire che il mondo non ce l’ha con lui; e che se tutti gli danno contro, forse allora il problema non sono sempre solo gli altri;
- aiutare qualcuno a rendersi conto che in una relazione le persone che devono conviverci sono due: quindi pensare solo al proprio benestare, o altrettanto grave, pensare solo al benessere del proprio partner, a scapito del nostro, non va bene;
- aiutare qualcuno a…
e la lista potrebbe continuare per molto tempo. “Quindi, queste sono persone che hanno risolto tutti i propri problemi, se hanno tempo di pensare a quelli degli altri.” Qualcuno si starà domandando. Non necessariamente: per quelli che io definisco gli aiutanti istintivi aiutare non deriva dal fatto di aver risolto i propri di problemi mettendo, poi, l’esperienza nell’averlo fatto, a disposizione di altri. Gli viene semplicemente naturale farlo!! Non sono psicologi o psicoanalisti che hanno studiato anni, per avere una qualifica che dice che loro sanno aiutare perché hanno studiato per arrivare a farlo. Semplicemente sono proprietari di alcune caratteristiche molto peculiari come l’empatia, il problem solving, il giusto tatto nel comunicare le cose e diverse altre cosette, utili in questo genere di esperienza.
Quindi cosa porta queste persone ad offrirsi di farsi carico dei problemi altri, e del peso che deriva dal lavorare con loro per aiutare il prossimo. Di solito proprio l’istinto. Sanno di poterlo fare, sanno di essere bravi a farlo e sanno che hanno un dono che tenuto per se sarebbe uno spreco. “Quindi ci vivono di questa attività?” No, assolutamente no! Un aiutante istintivo non lo fa mai per soldi, o per profitto personale. Semplicemente sentono dentro di loro una forza che li spinge a farlo. Poi è chiaro che tenderanno più ad aiutare una persona che conoscono rispetto ad uno sconosciuto, ma anche lo sconosciuto avrà il suo momento, se avrà la pazienza di attendere.
“Quindi come fanno? Come operano?” Fondamentalmente ci son due metodologie:
- quella in cui l’aiuto è dato in modo aperto, quindi la controparte sa cosa sta accadendo;
- molto più frequente, quella in cui l’aiuto è dato in modo indiretto, quindi la controparte viene portata passo, passo, a capire cosa li sta opprimendo o cosa stanno sbagliando nel loro vivere quotidiano, ma senza avere idea che qualcuno li stia aiutando a capire.
Poi, chiaramente, ogni caso è una storia a sé: ogni persona che necessita di aiuto, ha il proprio carattere, il proprio vissuto, le proprie paure, le proprie speranze, e tutti questi diversi fattori ne fanno una persona unica, con problemi unici, per quanto possano sembrare simili a quelli della maggioranza delle persone che vivono intorno a lui. La differenza fondamentale e che lui avrà quell’aiuto, che gli serve, per vincere quel brutto momento, o risolvere quel problema che tanto lo angustia in quella precisa fase della propria vita.
Per la persona aiutata, ovviamente è un forte stimolo a capire e migliorarsi, ma essendo spesso il lavoro dell’aiutante non palese, crederà di aver fatto tutto da solo. Siccome, però, l’aiutante non è in cerca di gratificazioni o ringraziamenti, questo per lui non sarà un problema. La sua ricompensa sarà vedere l’aiutato progredire nella sua vita quotidiana, vincere quella specifica paura, abbattere quello specifico ostacolo che lo sta bloccando. Un’aiutante non cercherà mai un grazie, o qualsiasi altra forma di riconoscimento, sarà il risultato positivo, la sua ricompensa massima.
La cosa si complica un po’ quando due soggetti aiutanti cadono nel circolo vizioso di voler aiutare l’uno l’altro in maniera non palese. Diverrà una situazione simile a due buchi neri che si ruotano intorno: inevitabilmente uno dei due finirà fagocitato dall’altro. Fortunatamente gli aiutanti hanno un meccanismo di difesa in queste situazioni: si rendono conto chi è l’aiutante che sta operando su di loro, e può fermare il loro operato senza sembrare né scortese né ingrato. Di solito non servono parole in questi casi: la situazione diventa chiara ad entrambi i soggetti quando si rendono conto cosa sta succedendo ed il circolo vizioso si spezza immediatamente.
Entrando più nel dettaglio: come fa un aiutante ad aiutare qualcuno? Beh esistono diverse metodologie nell’affrontare la situazione. Molto dipende se le due persone sono molto legate, solo conoscenti oppure perfetti estranei. Diciamo che l’aiutante deve arrivare al punto di essere almeno un buon conoscente, in modo di essere nella posizione da potersi permettere di dare consigli. Il suo lavoro non è consigliare, non direttamente almeno, il suo lavoro sarà portare l’aiutato a capire la fonte dei suoi problemi, di solito sono atteggiamenti mentali che avviano i problemi. Quindi un grosso lavoro sarà quello di far imparare le basi dell’auto analisi all’aiutato. Chiaro l’auto analisi sarà, inizialmente, pilotata dall’aiutante, ma non per gli scopi, solo per il modo nel quale farlo.
Imparare a fare auto analisi in effetti non è difficile, ma è una pratica che non viene insegnata in occidente. Si pensa che l’auto analisi, o meditazione come preferite chiamarla, sia una materia principalmente in studio nelle regioni orientali del globo, ma non è così. Da noi ha un altro nome: si chiama filosofia. Certo i termini meditazione e filosofia hanno significati, apparentemente, molto diversi. Pensandoci bene però non è così: lo scopo finale e conoscersi meglio, studiarsi a fondo, imparare a conoscere i nostri impulsi, le reazioni, i processi mentali con cui arriviamo ad una focale di una situazione. Certo esistono metodologie molto diverse per arrivare allo stesso risultato, ma lo scopo finale resta sempre quello: essere in pace con se stessi e gli altri che ci stanno intorno.
Perché a questo punto non approfittare di un aiutante, se questi ci offre il suo aiuto? Presunzione? Incapacità di ammettere che da soli non ce la facciamo? Egoismo? Qualunque sia il motivo, se lo analizziamo a fondo, capiremo che rifiutare una mano da un aiutante è una stupidaggine di cui solo noi, alla fin fine, pagheremo lo scotto. Certo per alcuni è dura ammettere di aver bisogno di aiuto. sebbene la categoria più ostica sia quella che ufficialmente accetta l’aiuto, ma lo fa solo per dimostrare che alla fine non gli serviva, che ci sarebbe arrivato da solo a quella conclusione. Purtroppo questo è un caso frequente ai giorni nostri: ammettere di aver bisogno di aiuto, all’aiutato pare, è una dimostrazione della propria inettitudine: solo un incapace deve chiedere aiuto. È questo che la nostra società ci insegna sin da piccoli. «Arrangiati da solo e non chiedere mai aiuto: dimostreresti la tua debolezza.» Sembra questo il filo conduttore della vita dell’essere medio dei nostri giorni.
Io, in realtà, trovo questo ragionamento infantile ed autodistruttivo. Infantile perché dimostriamo di avere ancora un problema di visibilità o, peggio ancora, ci spaventa a morte cosa pensano gli altri di uno che si fa aiutare!!! Auto distruttivo perché ci impediamo di crescere, di migliorarci, di accedere a nostre risorse coperte dalla vita superficiale che si vive oggigiorno.
Io resto dell’idea che se l’universo ha creato gli aiutanti li avrà creati per qualche motivo, ed il primo che mi viene in mente, è quello di aiutare chi ne abbia bisogno… alzi la mano chi non ha mai avuto bisogno di aiuto!!!